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Sahel: il futuro del Califfato

«Gli sforzi per combattere i gruppi armati legati all'ISIS, ad al-Qaeda e ad altre reti terroristiche, non sono riusciti a fermare la loro espansione nella regione africana del Sahel.»

Questo è quanto ha dichiarato Martha Pobee, l'assistente segretario generale delle Nazioni Unite per l'Africa, aggiungendo che senza un maggiore sostegno internazionale e di cooperazione regionale, l'instabilità aumenterà verso i Paesi costieri dell'Africa occidentale.

Una forza antiterrorismo, ora composta da Burkina Faso, Ciad, Mauritania e Niger, ha perso il Mali un anno fa quando i suoi generali al potere hanno deciso di ritirarsi.

Pobee ha criticato la comunità internazionale dicendo che la mancanza di finanziamenti sufficienti non consentirà di avere la capacità di aiutare a stabilizzare la regione del Sahel.

Eric Tiaré, segretario esecutivo della forza nota come G5 Sahel, ha affermato che gli esperti hanno finalizzato un nuovo concetto di operazioni, che sarà presentato al suo consiglio di difesa e poi all'Unione africana per essere approvato.

Tiaré ha dichiarato: «Dato che il Sahel è a un bivio, poiché sta vedendo molte minacce alla pace e alla sicurezza internazionali, è assolutamente vitale fornire supporto per cercare di contrastare il terrorismo».

Il capo dell'antiterrorismo delle Nazioni Unite, Vladimir Voronkov, ha detto al Consiglio di sicurezza a gennaio che l'espansione dell'ISIS nelle regioni dell'Africa centrale, meridionale e del Sahel è “particolarmente preoccupante”.

Lo scorso agosto, l'esperto di sicurezza africano Martin Ewi ha detto che almeno 20 paesi africani stavano vivendo direttamente l'attività dell'ISIS e più di altri 20 sono stati utilizzati per la logistica e per mobilitare fondi e altre risorse.

Ewi, che coordina un progetto di criminalità organizzata transnazionale presso l'Istituto per gli studi sulla sicurezza nella capitale del Sudafrica, ha aggiunto che l'ISIS sta crescendo di giorno in giorno in Africa e il continente potrebbe essere “il futuro del califfato”.


(Fonte immagine: aljazeera)

Sudan: cosa sta accadendo e perché

Quanto sta avvenendo in Sudan ruota, in parte, attorno alla figura dell’ex presidente Omar al-Bashir.

Come sempre accade, per poter leggere gli eventi attuali è necessario conoscere e comprendere le evoluzioni storiche di un’area già martirizzata e che ora è ad un passo da una nuova implosione.

Mentre il mondo resta colpevolmente a guardare, proseguono gli scontri in Sudan tra l’esercito regolare guidato dal generale Abdel Fattah al-Buran e le Forze di Supporto Rapido (RSF) del generale Mohamed Hamdan Dagalo.

Dall’inizio dei combattimenti, il 15 aprile, almeno 512 persone sono state uccise e quasi 4200 ferite.

Una tragedia di grandi proporzioni se si considera che il Paese era già allo stremo. Il Sudan è il terzo Paese più grande dell’Africa ed un terzo dei suoi 46 milioni di abitanti dipendeva dagli aiuti umanitari.

I contrasti tra esercito e RSF risalgono a quando al potere vi era l’ex presidente Omar al-Bashir, deposto nel 2019.

In quel periodo la forza paramilitare (RSF), guidata da Dagalo, era una milizia nota come Janjaweed che si rese responsabile di una atroce e brutale repressione nel Darfur.

Sebbene i due gruppi abbiano unito le forze per spodestare il vecchio presidente in previsione di una transizione ad un governo democratico, si sono accentuate le divergenze sulle modalità della transizione stessa. Il tutto alimentato da interessi personali ed economici dei due leader.

Giova ricordare che con al-Bashir al potere, il Sudan era uno stato fondamentalista islamico nel quale vigeva la Sharia.

Il colpo di stato del 2021 ha disatteso le speranze ed aspettative dei sudanesi che anelavano ad un governo democratico dopo oltre trenta anni di autocrazia e repressione.

Con al-Bashir detenuto nella prigione di Khartoum, attualmente il conflitto non è tra civili e militari ma a causa di uno stallo dovuto alla rivalità tra al-Buran e Dagalo. Ciò che deve allarmare è la fuga dal carcere di alcuni fedelissimi dell’ex presidente al-Bashir che potrebbero allearsi proprio con l’attuale comandane delle forze armate regolari, al Buran.

Tra i fuggitivi spicca il nome di Ahmed Harun, braccio destro di al-Bashir che, insieme ad altri fuggiaschi, è ora ricercato per crimini di guerra.

Alcuni ipotizzano che anche al-Bashir sia ora libero. Sembrerebbe quindi che dietro questo nuovo conflitto ci sia la mano dell’ex regime sudanese.

Se ciò dovesse concretizzarsi, magari con un ritorno di al-Bashir stesso, il Sudan ricadrebbe nella morsa islamista, rafforzando la presenza jihadista nel Sahel e con evidenti ripercussioni sul continente africano prima e in Europa poi.


(Fonte immagine: thearabweekly)

Sahel: La “mattanza” dimenticata

Una serie di attacchi multipli nel giro di pochi giorni ha causato una vera mattanza in tre Paesi del Sahel.


In Burkina Faso, una serie di azioni jihadiste ha ucciso 44 persone.

(https://www.reuters.com/world/africa/dual-attacks-northern-burkina-faso-kill-44-civilians-authorities-say-2023-04-08/)

Il Burkina Faso è uno dei numerosi Paesi dell’Africa occidentale che combattono contro i violenti gruppi islamisti che hanno messo radici nel vicino Mali e si sono diffusi in tutta la regione nell’ultimo decennio.

Attualmente il territorio è controllato per circa il 40% dai jihadisti.


Nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, un attacco rivendicato dallo Stato Islamico, ha ucciso 20 persone.

(https://www.reuters.com/world/africa/islamist-rebel-attack-kills-around-20-eastern-congo-2023-04-08/)


In Nigeria 74 persone sono state uccise in due attacchi separati da parte di uomini armati.

La violenza è aumentata negli ultimi anni poiché la crescita della popolazione porta ad un'espansione dell'area dedicata all'agricoltura, lasciando meno terra disponibile per il pascolo aperto da parte delle allevamenti di bestiame dei nomadi.

(https://www.reuters.com/world/africa/armed-gangs-kill-74-nigerias-benue-state-2023-04-08/)


In simili contesti, gli attacchi jihadisti si sovrappongono con le azioni di gruppi criminali comuni.

La concordanza di obiettivi simili, volti a destabilizzare il potere politico locale, rafforza questi gruppi “jihado-criminali” con evidenti ripercussioni sulle popolazioni civili.

Ai massacri si aggiungono i rapimenti, soprattutto di donne e bambini, con finalità di riscatto o per procacciarsi ulteriore manovalanza e schiave sessuali.

In tutto ciò la risposta della comunità internazionale è pressoché assente.

Nel complesso, negli ultimi due decenni il Sahel ha illustrato alcune delle principali tendenze politiche che caratterizzano l'evoluzione del terrorismo in aree altamente instabili e soggette a conflitti alla cui base c’è, come ampiamente dimostrato in precedenti articoli, il fondamentale controllo del territorio e la sovrapposizione con gruppi criminali locali.


(Fonte immagine: losservatorio.org)

Global Terrorism Index: «Il Sahel è il centro dell'attività terroristica globale».

L'Institute for Economics & Peace, un istituto di ricerca che opera a Sydney, in Australia, ha pubblicato il Global Terrorism Index che riassume il 2022.

Secondo lo studio, l'ISIS è l'organizzazione terroristica globale più letale per l'ottavo anno consecutivo in termini di numero di attacchi e morti. Tuttavia, il numero di decessi dovuti all'attività dell'ISIS in tutto il mondo è diminuito del 16% nel 2022 rispetto all'anno precedente.

Inoltre è stato evidenziato che la regione del Sahel è al centro dell'attività terroristica globale, con un numero di morti nel 2022 superiore a quello dello stesso anno in Asia meridionale, Medio Oriente e Nord Africa messi insieme.

È stato osservato che il 43% del numero di persone uccise nel mondo nel 2022 si trovava nella regione del Sahel, rispetto a solo l'1% nel 2007.

Negli ultimi 15 anni, l'attività terroristica nella regione del Sahel è aumentata del 2000%.


Sahel: scontri tra ISIS ed Al-Qaeda. La fine della “eccezione saheliana”.

Oggi, durante gli scontri nei pressi di Menaka in Mali, il gruppo Jama'at Nusrat al-Islam wal-Muslimin ha usato tre SVBIED (suicide vehicle-borne improvised explosive device) contro la filiale dello Stato Islamico nel Sahel.

(https://mobile.twitter.com/HKaaman/status/1636668072835661829)

Sono passati tre anni da quando il rapporto tra il Jama'at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), affiliato ad Al-Qaeda e lo Stato islamico nel Grande Sahara (ISGS) si è deteriorato in una vera e propria guerra nel territorio nel Sahel.

Nei precedenti otto anni JNIM e ISGS hanno guidando insurrezioni subregionali in Mali, Burkina Faso e Niger. Dopo l'emergere di ISGS nel 2015, le due franchigie jihadiste rivali per diversi anni sono esistite all'interno di una difficile alleanza nella regione.

Questa relazione è stata spesso descritta come “eccezione saheliana”, attirando l'attenzione sulla mancanza di conflitto tra i due in mezzo ai combattimenti intra-jihadisti tra al-Qa`ida e affiliati dello Stato islamico in altri teatri di conflitto in tutto il mondo.

Ad esempio, le battaglie interne tra i talebani e la provincia dello Stato islamico del Khorasan (ISIS-K) in Afghanistan, Al-Qaeda nella penisola arabica e lo Stato islamico nello Yemen, al-Shabaab e lo Stato islamico in Somalia.

Nonostante questi precedenti, JNIM e ISGS sono stati segnalati come ancora cooperanti nella regione dalle Nazioni Unite fino a febbraio 2020.

JNIM e ISGS condividono origini comuni nella rete di Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM). L'ISGS si è formato nel 2015 dopo la frammentazione da Al-Mourabito, un affiliato ad Al-Qaeda, anche se il suo rapporto con le controparti allineate ad Al-Qaeda è rimasto caratterizzato da collusione, coesistenza e taciti accordi territoriali. Formata nel 2017, JNIM ha riunito diversi gruppi jihadisti disparati - tra cui la filiale del Sahara di AQIM, Al-Mourabitoun, Ansar Dine e Katiba Macina in un conglomerato saheliano.

La relazione unica tra i due gruppi è stata modellata da legami personali di lunga data, azioni coordinate per affrontare nemici comuni e mancanza di lotte intestine jihadiste.

La configurazione pre-interwar di JNIM e ISGS ha portato i vantaggi di mettere in comune le risorse e fornire supporto in un ecosistema di insurrezione complesso e ambiguo per confondere i nemici sul carattere degli affari jihadisti e sul panorama del controllo del territorio.

ISGS è emerso come un gruppo piccolo e oscuro che dipende da un'infrastruttura mediatica rudimentale, dandogli un chiaro svantaggio nel promuovere la sua lotta rispetto a JNIM che, al contrario ha ereditato la forza numerica combinata, le capacità militari e mediatiche dai suoi già noti gruppi costituenti.

Tuttavia, l'appropriazione da parte dell'ISGS delle rimostranze, in particolare delle richieste di protezione e lo sfruttamento delle rivalità tra le popolazioni pastorali nella regione emarginata e ostile del “confine tri-stato” (o Liptako-Gourma), ha favorito la sua crescita. Attingendo a una serie di conflitti e problemi locali, ISGS è anche riuscito a incorporare unità JNIM indebolite o emarginate.

La crescente concorrenza tra JNIM e ISGS è parallela alla collusione dei due gruppi. La riluttanza di JNIM a condividere il territorio in alcune delle sue roccaforti tradizionali e l'incessante bracconaggio da parte dell'ISGS dei membri dei primi probabilmente, hanno generato percezioni reciproche di tradimento. L'apertura di JNIM a coinvolgere il governo maliano nel dialogo e la firma di accordi con i miliziani del Donso ha suscitato sfiducia nell'impegno e nella credibilità della tacita coalizione. L'integrazione dell'ISGS da parte dello Stato Islamico nella sua struttura generale come fazione distinta della Provincia dell'Africa occidentale dello Stato Islamico (ISWAP), ha messo l'ultimo chiodo nella bara della tesa coalizione JNIM e ISGS.

Sebbene abbiano dimostrato di funzionare bene per la mobilitazione armata in una regione in conflitto, ISGS e JNIM hanno traiettorie contrarie e approcci diversi e rappresentano due visioni incompatibili dell'ordine sociale insurrezionale che le hanno definitivamente condotte ad un rapporto conflittuale e competitivo.

Nel complesso, negli ultimi due decenni il Sahel ha illustrato alcune delle principali tendenze politiche che caratterizzano l'evoluzione del terrorismo in aree altamente instabili e soggette a conflitti alla cui base c’è, come ampiamente dimostrato in precedenti articoli, il fondamentale controllo del territorio e la sovrapposizione con gruppi criminali locali.


(Fonte immagine: Twitter)