Le mani della Jihad in Europa e la disumanizzazione del dolore.
Gli attentati in Europa non sono mai realmente cessati ed è pertanto scorretto disquisire di “nuova ondata terroristica”.
Nella distrazione globale, un 26enne originario della Siria ha confessato di essere l'autore dell'attacco con coltello di venerdì sera a Solingen che ha provocato la morte di tre persone e il ferimento di altre otto durante le celebrazioni per il 650esimo anniversario della fondazione della città. Nella notte l'uomo, a poco più di 24 ore dall'attentato, si è consegnato alla polizia. L'attacco era già stato rivendicato dall'Isis con un messaggio diffuso in un comunicato su Amaq, il canale di notizie dell'organizzazione terroristica: «L'attentatore contro l'assemblea cristiana era un soldato dello Stato Islamico: è una vendetta per i musulmani in Palestina e ovunque».
L’attentato di venerdì sera è solo l’ultimo di una serie di azioni, molte delle quali “sfuggite” ai media nazionali, delle quali lo Stato Islamico ne ha rivendicato la paternità.
Come può un gruppo terroristico, privato della sua forza territoriale, continuare a mietere vittime a migliaia di km di distanza?
Perché le precedenti azioni sono passate in sordina senza destare attenzione e sgomento?
La risposta alla prima domanda deve essere ricercata nella strategia degli attentati “per procura”. Lo Stato Islamico, pur non avendo alcun contatto diretto con gli autori, accoglie le loro intenzioni facendole proprie.
In sostanza è sufficiente l’esecuzione di una azione funzionale alla causa jihadista e la volontà di perorarla per avere il “titolo” di adesione.
In merito alla seconda domanda e al perché certi eventi passino in secondo piano, la risposta è estremamente semplice: c’è una assuefazione al dolore, all’attacco terroristico; una pacata accettazione di ciò che, fino a pochi anni fa, generava orrore.
Da questo punto di vista lo Stato Islamico ha vinto: ha disumanizzato il nostro dolore rendendoci più simili a loro.