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Sahel: lo Stato Islamico nel Grande Sahara

Il “Sahel” è la fascia di territorio che si estende dall’Oceano Atlantico fino al Mar Morto, nell’Africa subsahariana, tra il deserto del Sahara (nord) e la savana sudanese (sud).

Attraversa 9 Paesi, partendo dal Gambia e dal Senegal fino all’Eritrea, passando per il Niger, il Mali e il sud della Mauritania.

Il termine “Sahel” deriva dall’arabo “al-Sāhil”, parola che intende l’area di contratto tra zone desertiche e steppe.

È un’area geograficamente e geopoliticamente molto importante, soprattutto per il commercio e per l’economia, sia classica che illegale

Da qui transita la nota “Highway 10”, la rotta dei traffici criminali che corre lungo il decimo parallelo.

Nel Sahel si contano, negli ultimi anni, diversi colpi di Stato, dei quali quello in Niger è solo l’ultimo in ordine temporale.

In Africa occidentale le statistiche, dal 2020, contano circa 12 golpe o tentati golpe.

Sovrapponendo la mappa del Sahel con quella dei Paesi che hanno subito un golpe, noterete della deriva che sta interessando l’area sempre più rapidamente.

Se ora provaste a sovrapporre la mappa dei gruppi jihadisti, notereste che c’è una concordanza quasi totale con le mappe precedenti.

Segno evidente della commistione e concordanza tra i gruppi criminali locali e quelli jihadisti.

Questo aspetto, ampiamente affrontato nel libro INFIDEL, evidenzia la ormai ben definita realizzazione del nuovo Califfato ad opera del ISGS (Islamic State in the Greater Sahara), lo Stato Islamico nel Grande Sahara, ovvero la “versione” africana di ciò che i più conoscono come ISIS.

Nella cecità della comunità internazionale, si sta consumando la nascita, crescita ed espansione di una entità jihadista che occuperà le cronache occidentali nel prossimo futuro.


(Fonte immagine: ISPI, nxwss, criticalthreats)

Sudan: cosa sta accadendo e perché

Quanto sta avvenendo in Sudan ruota, in parte, attorno alla figura dell’ex presidente Omar al-Bashir.

Come sempre accade, per poter leggere gli eventi attuali è necessario conoscere e comprendere le evoluzioni storiche di un’area già martirizzata e che ora è ad un passo da una nuova implosione.

Mentre il mondo resta colpevolmente a guardare, proseguono gli scontri in Sudan tra l’esercito regolare guidato dal generale Abdel Fattah al-Buran e le Forze di Supporto Rapido (RSF) del generale Mohamed Hamdan Dagalo.

Dall’inizio dei combattimenti, il 15 aprile, almeno 512 persone sono state uccise e quasi 4200 ferite.

Una tragedia di grandi proporzioni se si considera che il Paese era già allo stremo. Il Sudan è il terzo Paese più grande dell’Africa ed un terzo dei suoi 46 milioni di abitanti dipendeva dagli aiuti umanitari.

I contrasti tra esercito e RSF risalgono a quando al potere vi era l’ex presidente Omar al-Bashir, deposto nel 2019.

In quel periodo la forza paramilitare (RSF), guidata da Dagalo, era una milizia nota come Janjaweed che si rese responsabile di una atroce e brutale repressione nel Darfur.

Sebbene i due gruppi abbiano unito le forze per spodestare il vecchio presidente in previsione di una transizione ad un governo democratico, si sono accentuate le divergenze sulle modalità della transizione stessa. Il tutto alimentato da interessi personali ed economici dei due leader.

Giova ricordare che con al-Bashir al potere, il Sudan era uno stato fondamentalista islamico nel quale vigeva la Sharia.

Il colpo di stato del 2021 ha disatteso le speranze ed aspettative dei sudanesi che anelavano ad un governo democratico dopo oltre trenta anni di autocrazia e repressione.

Con al-Bashir detenuto nella prigione di Khartoum, attualmente il conflitto non è tra civili e militari ma a causa di uno stallo dovuto alla rivalità tra al-Buran e Dagalo. Ciò che deve allarmare è la fuga dal carcere di alcuni fedelissimi dell’ex presidente al-Bashir che potrebbero allearsi proprio con l’attuale comandane delle forze armate regolari, al Buran.

Tra i fuggitivi spicca il nome di Ahmed Harun, braccio destro di al-Bashir che, insieme ad altri fuggiaschi, è ora ricercato per crimini di guerra.

Alcuni ipotizzano che anche al-Bashir sia ora libero. Sembrerebbe quindi che dietro questo nuovo conflitto ci sia la mano dell’ex regime sudanese.

Se ciò dovesse concretizzarsi, magari con un ritorno di al-Bashir stesso, il Sudan ricadrebbe nella morsa islamista, rafforzando la presenza jihadista nel Sahel e con evidenti ripercussioni sul continente africano prima e in Europa poi.


(Fonte immagine: thearabweekly)